“Donna curvy”. Quante volte sento questa definizione. E quante volte mi rendo conto che viene usata impropriamente, contribuendo a consolidare una visione alterata del corpo reale. Il perché ve lo spiego subito.

Qualche settimana fa, guardando un telegiornale, mi sono imbattuta in un servizio dedicato alla sfilata di un noto stilista, che ha disegnato in via del tutto eccezionale dei capi per taglie abbondanti, almeno secondo quanto riportato nel servizio. Dalla descrizione pareva che il target affrontato fosse un oversize sbalorditivo. Poi ho visto le modelle e ho capito che non era così e, soprattutto, ho capito che molti dei messaggi falsati arrivano proprio dai reporter che utilizzano termini inadeguati, sbilanciando i parametri soggettivi di giudizio estetico. Il termine curvy, infatti, identifica sempre più spesso corpi che in realtà sono semplicemente normopeso e comuni. Corpi che fino a 50 anni fa rappresentavano l’ordinaria femminilità in buona salute.

Il problema è che finché si descriverà come rivoluzionario o anticonformista disegnare abiti per taglie 44 o 46, permarrà la comune concezione che tutto ciò che rientra fuori dalla 38/40 non sia normale, ma una eccezione da trattare come tale, quasi fosse un atto di mera bontà e pietà nei confronti dei corpi “svantaggiati”. Scusate la brutalità, ma è proprio questa la percezione che continuo ad avere di fronte a certi atti che decantano inclusività.

Donna curvy
Credits: Foto di Anna Shvets da Pexels

Riesco a percepire nitidamente tutti i passi che la moda sta compiendo verso il riconoscimento della diversità dei vari corpi, ma il processo di legittimazione degli stessi è davvero lontano. Esiste ancora uno stereotipo base che dovrebbe rappresentare in via teorica la gran parte degli esseri umani viventi. Peccato che di fatto ne rappresenti sempre e solo una piccola porzione. E chi è fuori da questa porzione viene etichettato come anomalia di sistema.

Donna curvy o no?

Io di gente ne conosco parecchia e di donne che rispondono ai criteri decisi a tavolino dai mass media ne conosco appena un paio. Tutte le altre dovrebbero essere eccezioni? O ognuna, di fatto, costituisce uno spaccato fedele della realtà comune e per questo merita di essere rappresentata nella moda senza che ciò venga bollato come operazione di pia e generosa inclusività?
Dovrebbe essere semplicemente normale o, al contrario, tutto semplicemente un’eccezione. Perché ognuno è un’eccezione a modo suo. Ognuno ha le proprie peculiarità e tutte devono appartenere con pari dignità alla stessa società.

Tempo fa dedicai un post a Vanessa Incontrada e alla copertina su Vanity Fair che mostrava il suo corpo nudo con un bel messaggio di auto-accettazione.
Ciò che si attesta attraverso questo articolo è che anche la normalizzazione di una fisicità comune e normopeso è lontana. Sì, perché quel corpo che rappresenta una grande fetta del mondo femminile ha ancora la necessità di ricevere il benestare dalla società, tanto da meritare una copertina dal sapore ribelle.

Che poi, donne, ma ci rendiamo conto che il corpo di Vanessa Incontrada e quello di Marylin Monroe non avevano chissà quale differenza nelle forme? Ma mentre il primo ha ancora bisogno che venga in qualche modo riabilitato, il secondo viene osannato come fosse la più alta raffigurazione della figaggine terrena. Perché una è definita “donna curvy” e l’altra no? Mah il mistero.


La bellezza e la moda sono concetti che non sempre hanno confini ben definiti ma diamoci una svegliata.
Ogni corpo è normale, ogni corpo è giusto, ogni corpo è perfetto, ogni corpo è unico. Magro, formoso, alto, basso, largo, stretto.

Non solo Body positivity

È urgente una rieducazione dello sguardo come si fa per l’arte. In quest’ottica viene superato il concetto classico della Body positivity, perché non viene più delegato alla persona il faticoso compito di provvedere all’autoaccettazione mentre il resto del mondo dileggia le forme che abita, ma invita a un cambio di prospettiva globale, attraverso una rivisitazione del modo di osservare e percepire i corpi altrui che coinvolge tutti.

Bisogna insegnare a guardare l’altro con un approccio diverso che contempli le differenze come risorse e non come difetti da cancellare. Il lavoro da fare riguarda ognuno di noi, in quanto membri della medesima comunità. Perché per quanto io possa adoperarmi per accogliere il mio aspetto, se dalla mattina alla sera il mio viso incrocia occhi disgustati dalle mie forme, la mia autoaccettazione prima o poi uscirà per prendersi le sigarette.

Donne, siate anche voi fautrici di questo cambiamento e inneschiamo un meraviglioso e virtuoso effetto domino che crei una rete di sostegno a questa nuova cultura dello sguardo. Contrastiamo assieme il Body shaming promuovendo un atteggiamento Body positive.

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